Un’epidemia di influenza aviaria H5N1 in una fattoria lattiero-casearia in Texas, negli Stati Uniti, a marzo ha rivelato segnali preoccupanti di trasmissione del virus tra i mammiferi, evidenziando i rischi del consumo di latte ‘crudo’, cioè non pastorizzato.
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Le mucche della fattoria hanno iniziato a mostrare sintomi insoliti, come un calo significativo della produzione di latte, che è diventato più denso e di colore giallastro.
Il giorno successivo, i gatti che hanno bevuto latte crudo delle mucche si sono ammalati, sviluppando sintomi neurologici gravi, come movimenti rigidi, mancanza di coordinazione, cecità e altri problemi. Purtroppo, mentre le mucche si sono riprese, più della metà dei gatti è morta.
Uno studio pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases ha identificato che i gatti presentavano infezioni da H5N1 non solo nei polmoni, ma anche nel cervello, nel cuore e negli occhi. I ricercatori hanno concluso che la fonte più probabile dell’infezione nei gatti era il latte contaminato delle mucche malate, dato che il latte era pieno di particelle virali e i dati genetici indicavano una corrispondenza quasi esatta tra il virus nei gatti, nel latte e nelle mucche.
Questo caso evidenzia la crescente capacità dell’H5N1 di adattarsi e diffondersi tra i mammiferi, rappresentando un rischio significativo per la salute degli animali e potenzialmente anche per la salute umana.
L’epidemia in Texas ha anche attirato l’attenzione sul pericolo del consumo di latte crudo, un’abitudine che, sebbene già associata ai rischi di infezioni batteriche, ora sembra comportare anche il rischio di contaminazione da H5N1. La Food and Drug Administration (FDA) ha rilevato tracce genetiche di H5N1 in circa il 20% dei campioni di latte commerciali, ma la pastorizzazione dovrebbe eliminare il virus, rendendo il latte sicuro per il consumo.
Fonte: Ars Technica